martedì 21 giugno 2016

Italiano:Quasimodo

Salvatore Quasimodo
Salvatore Quasimodo nacque a Modica (Ragusa) nel 1901 e trascorse l’infanzia e l’adolescenza in Sicilia. Dal 1919 al 1926 visse a Roma dove frequentò il Politecnico. Successivamente abbandonò gli studi e si trasferì a Firenze, dove venne a contatto con un gruppo letterario. In questo periodo pubblicò le sue prime raccolte di versi ermetici. Nel 1934 si trasferì a Milano, dove, si dedicò completamente alla poesia. Nel 1959 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura. Mori a Napoli nel 1968.
Quasimodo fino al 1942, può essere considerato un poeta ermetico. Appartengono a questa fase le raccolte di poesie Acque e terre, Oboe sommerso, Ed è subito sera.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la sua poesia subisce un
profondo cambiamento. Sconvolto, infatti, dagli orrori della guerra, Quasimodo matura l'idea che la poesia debba interessarsi delle problematiche dell'uomo contemporaneo ridandogli, dopo la tragedia della guerra, la fiducia nel futuro. Questo impegno si riscontra nelle raccolte poetiche: Giorno dopo giorno, La vita non è sogno, La terra impareggiabile, Dare e avere.



Uomo del mio tempo
La poesia “Uomo del mio tempo”, scritta da Salvatore Quasimodo appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è contenuta nella raccolta “Giorno dopo giorno” del 1947.
La poesia si compone di una sola strofa. All’inizio elenca tutti gli episodi in cui l’uomo ha usato violenza contro un suo simile. Poi fa riferimento alla preistoria e alle lotte fra tribù a colpi di pietra e fionda. Successivamente ricorda la Seconda Guerra Mondiale con gli aerei bombardieri e i carri armati con l’avanzamento scientifico.
Verso la fine Quasimodo cita il primo omicidio della storia ricordando i fratelli biblici, Caino e Abele, facendo capire che l’intenzione di uccidere è sempre stata presente.
Negli ultimi quattro versi l’autore supplica agli uomini di cambiare e dimenticare i crudeli massacri del passato.




Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.



Spesso a questa poesia è associata al quadro di Pablo Picasso, Guernica perché, come la poesia è un segno di protesta contro la guerra. Sul quadro sono infatti dipinti gli orrori del bombardamento della città basca di Guernica da parte dei nazisti durante la guerra civile spagnola.

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